mercoledì 14 marzo 2007

Immagini Colorite di Aleksander Bassin

Facendo l’inventario del lavoro di Herman Pivk, troviamo che le sue immagini fotografiche appartengono a speciali, anche cruciali lavori della scena fotografica slovena del suo periodo. Negli anni '80 e nei primi anni '90 è emerso in Slovenia un tipo di fotografia “più esplicitamente devoto al contenuto dell’immagine. Vengono evidenziati tra i narrativi i rapporti fra gruppi di oggetti e figure; tutt’altro che una semplice, consumabile prosa di tutti i giorni, o anche la presentazione di qualche altro aspetto della realtà.
E’ da tempo che la realtà è sparita del tutto dalle fotografie di interesse, presumendo, certamente, che mai sia stata presente. Emergono una serie di interventi verso la ‘purezza’ del mezzo: le fotografie hanno ri-assunto un’atmosfera di unicità, “l’artificialità” è diventata la regola del momento e i lavori da studio richiedono sforzi sempre più elaborati. Le immagini trasmettono ancora considerazioni su questioni d’arte ma la loro formulazione esagerata ha preferito nasconderle all’occhio disattento piuttosto che rivelarle” (Primoz Lampic) .
La prima deduzione da fare sarebbe quella di chiedersi di cosa parla l’intera esposizione: dopo una serie iniziale di fotografie pure, l’artista deliberatamente e con finalità, si allontana dalle convenzioni “main-stream” (di tendenza) dalle quali le stampe al bromuro di argento dipendono per perfezione tecnica. Potrebbe essere una reazione conscia al messaggio universale, quasi cult seguito in modo globalizzato, apparentemente il risultato del generalizzato trend “industrial” della fotografia che, con l’eccezione di qualche grande artista, si sforza di convincerci con una più o meno programmata monumentalità, inscenata con freddezza? Per dire, senza l’attrazione magica ed avventurosa (secondo Roland Barthes), o, come ha detto Sartre una volta delle fotografie che lo lasciavano freddo, qualcosa eternamente nuota fra le sponde della percezione, del segno e delle immagini, senza mai raggiungere una di queste?
La fotografia unica di Pivk è “principalmente il risultato di una certa decisione, di una certa arte o abilità nel senso del techné greca… se ci si azzarda a definire la buona fotografia, prima o poi si arriva alla conclusione che il segreto della qualità risiede nella sua inafferabilità, nella sua indeterminatezza: la singola fotografia più enigmatica o la serie di fotografie (o anche l’intera esposizione) più ci fa pensare a cosa rappresenta davvero e perché rappresenta ciò che rappresenta in quella precisa maniera, maggiori sono le possibilità che ci possa soddisfare per la sua qualità. Il significato che ci sfugge, nel senso non mimetico e non analogo, è stimolante perché ci costringe a ritornare più volte sull’immagine per cercare di capire, senza mai ottenere una comprensione assoluta o finale” (Brane Kovic).
Questo è riflesso nella caratteristica di evasiva ambiguità della fotografia di Pivk, prima e soprattutto nel metodo di “spilling”, o versamento controllato di emulsione marroncina che apparentemente non dovrebbe essere più confinato nel darkroom, ma spinge l’artista a stampare e realizzare stampe con una luce aspra, anche naturale. Viene così alla ribalta il suo talento artistico, quello innato e portato avanti nella sua ricerca, l’attitudine a rappresentare… cosa? Natura, per un verso e tutto ciò che ne deriva, con enfasi speciale sulle dimensioni contemplative; ordine e caos enigmatici delle cose nelle loro forme apparenti e sublimate simultaneamente; l’occasionale faccia simile ad una maschera come ultimo valore cult inerente alla fotografia (secondo Walter Benjamin); permutazioni surreali o contorte, illogiche rappresentazioni nell’aspetto di collage o qualcosa che assomiglia a fotogrammi; la mano dell’artista (o, piuttosto, la sua impronta) trasformata in un segno di osservazione; strutture organiche sospese, scomode, oscurate (ovviamente), il ritratto anonimo di una faccia, miriadi di misteri erotici nel gioco di luce e ombra su un corpo femminile… Tutto questo può essere trovato nelle immagini fotografiche di Pivk dagli ultimi anni '80 ai primi anni '90, quando ha prodotto la serie Through the Mirror (Attraverso lo Specchio).
Ci sono numerosi elementi insondabili e altri presenti inizialmente ma poi letteralmente fotografati fuori dalla foto con riordinamenti di scala. La serie Insights into Nature degli ultimi anni '90 presenta questi elementi in forma (fugacemente) realistica: l’uso di un emulsione doppia, marroncino e nero, fa che gli alberi rappresentati irradino una dualità quasi spirituale. Occasionalmente questa apparenza pacifica (pantha rei) è cosparsa di elementi che sono stati ridefiniti ancora una volta (la figura umana a volte parzialmente nascosta, parzialmente sospesa) e adesso hanno un carattere più esplicitamente sonnambulo.
La fotografia, in questo modo è la messa in scena della realtà (Roland Barthes). Ma la fotografia ci insegna anche dell’inconscio della visione, proprio come la psicanalisi ci insegna dell’inconscio dei nostri istinti e impulsi (Walter Benjamin). (...).
In aggiunta alle qualità fotografiche ed estetiche fin qui espresse sul lavoro fotografico di Pivk adesso emerge, da uno sfondo finora impenetrabile, un legame (spirituale) con animalismo o animalità. Nelle fotografie di Pivk questo vincolo può essere molto privato, anche impotente, mentre cerca mezzi indiretti per esprimersi; oppure una forma di reazione alla crudeltà e al sadismo che storpiano i nostri tempi. Anche se Pivk tratta soggetti impossibili, bizzarri, voyeuristici, anche disgustosi… le sue immagini sembrano suggerire che nondimeno egli ha cercato di evitare la sopracitata animalità anche se la figura animale continua a giocare un ruolo importante nel suo lavoro. Pivk fornisce l’opportunità di comporre e raccontare una storia attorno ad essa, completa di denuncia, nel contesto della sua sintassi sempre più riconoscibile e permette (anche) di codificare un assortimento di circostanze della vita selezionando attentamente l’accidentale realtà degli oggetti, come pure adotta certi trucchi come parte della sintassi fotografica.
E’ quest’ultimo aspetto che lo rende un maestro “letterario” della stessa poesia e prosa.

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