giovedì 15 marzo 2007

ITEREST, RASSEGNA INTERNAZIONALE DI FOTOGRAFIA: PRIMO APPUNTAMENTO A CORMONS









ITEREST
IL VIAGGIO ANTICIPA L'ARTE
Rassegna Internazionale di Fotografia
Prima edizione


HERMAN PIVK
30 marzo - 25 aprile 2007
Cormòns, Museo Civico del Territorio

Inaugurazione venerdì
30 marzo, ore 18.00
Presentazione di Aleksander Bassin





ITEREST
IL VIAGGIO ANTICIPA L'ARTE

Iterest è un progetto ideato da E-20, gruppo di promozione culturale di Cormòns realizzato con l'attiva collaborazione del Comune di Cormòns attraverso l'Assessorato alla Cultura e con il contributo organizzativo della Proloco Cormòns.
La prima edizione della rassegna è realizzata grazie al contributo della Cantina Produttori Cormòns e della Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia.

Il progetto parte da due considerazioni.
La prima: Cormòns è stata la città di Carlo Bevilacqua (1900/1988) fotografo friulano di interesse internazionale che sicuramente non ha bisogno di essere presentato essendo stato esposto e studiato in varie occasioni in FVG negli ultimi decenni. Non è possibile guardare al futuro senza considerare il passato.
La seconda considerazione è di natura territoriale.
È ormai una consapevolezza comune la molteplice identità culturale di questo territorio caratterizzato da una particolare ibridazione: latina, tedesca e slava. Nel futuro disegno europeo (macro regione), l'orientamento di indagine, anche per gli aspetti legati all'arte visiva, viene sempre più caratterizzato da una condivisione delle attività dei soggetti confinanti, diventati ormai "vicini di casa".
Attualmente nell'Isontino non esiste una realtà espositiva dedicata specificatamente alla fotografia.
L'apertura del Museo del Territorio di Cormòns a questo progetto è una preziosa occasione per realizzare una attività espositiva sulla fotografia contemporanea internazionale di qualità.
Per la prima edizione della rassegna vengono indicati i curatori provenienti dalla Slovenia: Aleksander Bassin (direttore della Mestna Galerija, Ljiubiana); dalla Slovacchia: Vaclav Macek (critico d'arte e direttore artistico del Month of Photografy, Bratislava); dall'Austria: Silvie Aigner (critica e giornalista d'arte contemporanea, Vienna); dall'Italia: Roberto Mutti (docente, critico e giornalista d'arte, Milano).
Il tema di Iterest è "il viaggio" in tutte le sue possibili dimensioni.
La fotografia può interpretare il concetto del viaggio da tanti punti di vista: esplorativo, evolutivo, interiore.
Osservando come antropologicamente l'uomo si avvicina al concetto di arte, possiamo considerare il viaggio la prima azione: la curiosità nei confronti del mondo ancora prima di poterlo descrivere.
Per rendere efficace e produttivo il progetto, si è pensato di affidare ad un gruppo di fotografi nati e cresciuti artisticamente sulle sponde dell'Isonzo, il controllo della qualità espositiva: Roberto Kusterle, Maurizio Frullani, Sergio Scabar, tre figure di spicco nell'ambito della fotografia d'arte a livello internazionale .



Il primo appuntamento di Iter-est è con la fotografia di HERMAN PIVK.
Nato a Lubiana nel 1963, Pivk è un fotografo freelance.
Espone dal 1985 in varie gallerie d'arte sia in Slovenia che a livello internazionale.

Tra le più importanti:
1987: Tokio - 48th International photographic salon of Japan;
1988: Gorizia - 16° Concorso Triangolare di Fotografia Carinzia, Slovenia, Friuli Venezia Giulia;
1989: Tokio - 50th International photographic salon of Japan;
New York, Neikrug Gallery - Rated X;
1991: Aosta - Subtransalpina;
1995: Koln: Galerie IN FOCUS;
1996: Firenze: Biennale Europea della Fotografia d'Autore;
1996: Brescia, Museo Ken Damy - L'arte della fotografia contemporanea nell'Europa dell'est;
Lubiana, Moderna Galerija;
1999:Koln: Galerie in FOCUS - Aus dem Leben der Bäume
2000:
Lubiana, Galerija Ars - Riconoscimento della Natura, 2
2001:
Aidussina, Pilonova galerija - V belino bi zaplaval
2003:
Ljubljana, Mestna galerija - pregledna razstava
2004:
Lestans, Spilimbergo - fotografia 2004
2007:
Slovenj Gradec - Galleria d'arte della Carinzia

mercoledì 14 marzo 2007

TURISTI E VAGABONDI di Otto Pflanz

Il viaggiatore parte verso il futuro e quindi verso la morte.
Il suo punto di arrivo, dipende, che lo voglia o meno, sempre dal punto di partenza.
Il viaggiatore parte per restare.
Il primo che si rese conto di questa frustrante situazione fu Odysseos e il suo ritorno dopo venti anni ad Ithaca, ispirò numerosi miti e poesie.
Lo straniero, il turista, il vagabondo è e rimane un estraneo agli altri come a sé stesso; solo quando parlerà la lingua del luogo sarà finalmente arrivato, così ci si dice e ci si illude.
Il viaggiatore girovaga senza spostarsi ed il nostos, il ritorno, è sempre lo stesso, sia dopo un lungo viaggio, sia dopo una lunga sosta.
Gli stranieri, forse tutti gli uomini, non si definiscono più per quello che sono, ma per quello che hanno cessato di essere.
Oggi si può viaggiare virtualmente davanti allo schermo restando fermi fisicamente sulla propria sedia. Alcuni viaggiatori si spostano velocemente da una parte all’altra del pianeta, altri stipati sulla prua di una nave o su un gommone.
I primi possono arrivare dove vogliono, gli altri vengono respinti.
Solo i Rom non sono ossessionati dalla loro provenienza, né dal loro destino. Vengono da tempi remoti, si fermano o si spostano osservando con calma la disgregazione delle società circostanti.
Sono anche loro viaggiatori dei tempi di Odysseos, come i fotografi: curiosi e visionari.

Viaggiare è cercare.

Immagini Colorite di Aleksander Bassin

Facendo l’inventario del lavoro di Herman Pivk, troviamo che le sue immagini fotografiche appartengono a speciali, anche cruciali lavori della scena fotografica slovena del suo periodo. Negli anni '80 e nei primi anni '90 è emerso in Slovenia un tipo di fotografia “più esplicitamente devoto al contenuto dell’immagine. Vengono evidenziati tra i narrativi i rapporti fra gruppi di oggetti e figure; tutt’altro che una semplice, consumabile prosa di tutti i giorni, o anche la presentazione di qualche altro aspetto della realtà.
E’ da tempo che la realtà è sparita del tutto dalle fotografie di interesse, presumendo, certamente, che mai sia stata presente. Emergono una serie di interventi verso la ‘purezza’ del mezzo: le fotografie hanno ri-assunto un’atmosfera di unicità, “l’artificialità” è diventata la regola del momento e i lavori da studio richiedono sforzi sempre più elaborati. Le immagini trasmettono ancora considerazioni su questioni d’arte ma la loro formulazione esagerata ha preferito nasconderle all’occhio disattento piuttosto che rivelarle” (Primoz Lampic) .
La prima deduzione da fare sarebbe quella di chiedersi di cosa parla l’intera esposizione: dopo una serie iniziale di fotografie pure, l’artista deliberatamente e con finalità, si allontana dalle convenzioni “main-stream” (di tendenza) dalle quali le stampe al bromuro di argento dipendono per perfezione tecnica. Potrebbe essere una reazione conscia al messaggio universale, quasi cult seguito in modo globalizzato, apparentemente il risultato del generalizzato trend “industrial” della fotografia che, con l’eccezione di qualche grande artista, si sforza di convincerci con una più o meno programmata monumentalità, inscenata con freddezza? Per dire, senza l’attrazione magica ed avventurosa (secondo Roland Barthes), o, come ha detto Sartre una volta delle fotografie che lo lasciavano freddo, qualcosa eternamente nuota fra le sponde della percezione, del segno e delle immagini, senza mai raggiungere una di queste?
La fotografia unica di Pivk è “principalmente il risultato di una certa decisione, di una certa arte o abilità nel senso del techné greca… se ci si azzarda a definire la buona fotografia, prima o poi si arriva alla conclusione che il segreto della qualità risiede nella sua inafferabilità, nella sua indeterminatezza: la singola fotografia più enigmatica o la serie di fotografie (o anche l’intera esposizione) più ci fa pensare a cosa rappresenta davvero e perché rappresenta ciò che rappresenta in quella precisa maniera, maggiori sono le possibilità che ci possa soddisfare per la sua qualità. Il significato che ci sfugge, nel senso non mimetico e non analogo, è stimolante perché ci costringe a ritornare più volte sull’immagine per cercare di capire, senza mai ottenere una comprensione assoluta o finale” (Brane Kovic).
Questo è riflesso nella caratteristica di evasiva ambiguità della fotografia di Pivk, prima e soprattutto nel metodo di “spilling”, o versamento controllato di emulsione marroncina che apparentemente non dovrebbe essere più confinato nel darkroom, ma spinge l’artista a stampare e realizzare stampe con una luce aspra, anche naturale. Viene così alla ribalta il suo talento artistico, quello innato e portato avanti nella sua ricerca, l’attitudine a rappresentare… cosa? Natura, per un verso e tutto ciò che ne deriva, con enfasi speciale sulle dimensioni contemplative; ordine e caos enigmatici delle cose nelle loro forme apparenti e sublimate simultaneamente; l’occasionale faccia simile ad una maschera come ultimo valore cult inerente alla fotografia (secondo Walter Benjamin); permutazioni surreali o contorte, illogiche rappresentazioni nell’aspetto di collage o qualcosa che assomiglia a fotogrammi; la mano dell’artista (o, piuttosto, la sua impronta) trasformata in un segno di osservazione; strutture organiche sospese, scomode, oscurate (ovviamente), il ritratto anonimo di una faccia, miriadi di misteri erotici nel gioco di luce e ombra su un corpo femminile… Tutto questo può essere trovato nelle immagini fotografiche di Pivk dagli ultimi anni '80 ai primi anni '90, quando ha prodotto la serie Through the Mirror (Attraverso lo Specchio).
Ci sono numerosi elementi insondabili e altri presenti inizialmente ma poi letteralmente fotografati fuori dalla foto con riordinamenti di scala. La serie Insights into Nature degli ultimi anni '90 presenta questi elementi in forma (fugacemente) realistica: l’uso di un emulsione doppia, marroncino e nero, fa che gli alberi rappresentati irradino una dualità quasi spirituale. Occasionalmente questa apparenza pacifica (pantha rei) è cosparsa di elementi che sono stati ridefiniti ancora una volta (la figura umana a volte parzialmente nascosta, parzialmente sospesa) e adesso hanno un carattere più esplicitamente sonnambulo.
La fotografia, in questo modo è la messa in scena della realtà (Roland Barthes). Ma la fotografia ci insegna anche dell’inconscio della visione, proprio come la psicanalisi ci insegna dell’inconscio dei nostri istinti e impulsi (Walter Benjamin). (...).
In aggiunta alle qualità fotografiche ed estetiche fin qui espresse sul lavoro fotografico di Pivk adesso emerge, da uno sfondo finora impenetrabile, un legame (spirituale) con animalismo o animalità. Nelle fotografie di Pivk questo vincolo può essere molto privato, anche impotente, mentre cerca mezzi indiretti per esprimersi; oppure una forma di reazione alla crudeltà e al sadismo che storpiano i nostri tempi. Anche se Pivk tratta soggetti impossibili, bizzarri, voyeuristici, anche disgustosi… le sue immagini sembrano suggerire che nondimeno egli ha cercato di evitare la sopracitata animalità anche se la figura animale continua a giocare un ruolo importante nel suo lavoro. Pivk fornisce l’opportunità di comporre e raccontare una storia attorno ad essa, completa di denuncia, nel contesto della sua sintassi sempre più riconoscibile e permette (anche) di codificare un assortimento di circostanze della vita selezionando attentamente l’accidentale realtà degli oggetti, come pure adotta certi trucchi come parte della sintassi fotografica.
E’ quest’ultimo aspetto che lo rende un maestro “letterario” della stessa poesia e prosa.